, l'ex Ds Ernesto Salvini a "La casa di C": "Stirpe persona di grande spessore, andato via in silenzio come sono arrivato"
Il calcio è la sua vita, ed il Frosinone è stato il suo grande amore: l'ex Ds giallazzurro Ernesto Salvini, si è raccontato a 360° ai microfoni dei colleghi de "La Casa di C". Una carriera partita a 16, nella quale quella al Frosinone, è stata la sua tappa più bella: "Ho vissuto in Ciociaria 14 stagioni, in cui abbiamo realizzato la doppia cavalcata dalla C alla Serie A".
Poi Salvini spiega: "Il calcio per me è tutto. Ho dedicato tutta la mia vita a questo sport, ma non gli ho permesso di invadere totalmente la mia esistenza. Il pallone è per me moglie, compagna, amante".
“Ho iniziato nell’Anzio in Promozione come responsabile del settore giovanile”. In 4 anni diventa direttore sportivo e arriva la vittoria del campionato. Un patentino di allenatore preso e l’esperienza da selezionatore regionale perché “volevo aumentare la predisposizione alla ricerca del talento”. Risultati che valgono la chiamata da Frosinone del dg Graziani: “Quello che ho fatto lì è stato anche grazie ai suoi insegnamenti”. Gli scudetti con gli Allievi, la Beretti e la promozione in prima squadra. Un’avventura, anzi una storia d’amore durata 14 anni: “Come una famiglia”.
La sua storia a Frosinone: "Quella con il club giallazzurro è stata una storia d'amore lunga 14 anni. Abbiamo realizzato una doppia cavalcata dalla C alla Serie A, puntando sui giovani calciatori italiani. Quello che non capisco è il perchè in Italia ci siano ancora dubbi sull'importanza dei Settori Giovanili. A Frosinone abbiamo dimostrato che questo può essere un modello valido, che funziona. Gori, Altobelli e Paganini furono tutti e 3 calciatori provenienti dal vivaio del Frosinone. Ho pianto quando li ho visti disputare la prima storica partita in massima serie dei canarini".
La stima verso il Presidente Stirpe: "Sarò sempre grato a Maurizio Stirpe. E' una persona di grande spessore, oltre che un vero conoscitore di calcio".
"Ho vissuto quelle bellissime esperienze in silenzio. Chi resta in una città per 14 anni la fa sua. Il mio atto d’amore più grande per il Frosinone è stato capire quando era il momento di andarsene. L’ho fatto in silenzio, come quando sono arrivato". Una decisione, quella di Salvini, che coincide con un momento preciso: “La mancata promozione in A dopo la finale playoff contro lo Spezia”. All’origine una consapevolezza: "Nel momento in cui si arriva a un grande risultato senza raggiungerlo, ricominciare la stagione successiva con gli stessi protagonisti diventa un’arma a volte devastante. Sono orgoglioso di questa scelta, seppur durissima. Avevo un legame speciale con la piazza. Penso di essere stato uno degli unici ds a cui sia stato dedicato un coro. È stato come lasciare una famiglia". Il dolore di un addio. Il rispetto della propria coscienza. "Era il miglior modo per dare un futuro al Frosinone".
I retroscena su Avellino e Triestina: "Se sposo un progetto è perchè sono consapevole di poter incidere. Quella irpina è una piazza fantastica, che ha un gran presidente, Quest'estate non era il momento giusto, mi piacerebbe lavorarci in futuro. Alla Triestina in 2 settimane avevo costruito la squadra. Pensavo di poter chiudere lì la mia carriera. A Siena si era invece creato qualcosa di speciale".
“Credo che per rendere al meglio ognuno debba fare la sua parte in modo spontaneo e con il rispetto dei reciproci ruoli. Non apprezzo l’allenatore che crede che al centro del progetto ci sia lui. Al centro c’è il giocatore. L’allenatore deve essere colui che valorizza i suoi calciatori e deve avere il coraggio di assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Decisioni da prendere senza alcun tipo di influenza della società. Non imporrò mai nulla, ma allo stesso tempo non mi farò imporre niente”. Coerenza e onestà intellettuale. Ah, una domanda. Gli allenatori più interessanti? “Dionisi, Zanetti e Vanoli sono i tre che possono avere l’ambizione di avere una carriera di prima fascia”.
Infine, una riflessione sulla cultura del nostro calcio: “Non capisco perché in Italia ci siano ancora dubbi sull’importanza nevralgica dei settori giovanili per un club. Comprendo non sia scontato che un giovane possa diventare un prodotto importante per la prima squadra. Noi, però, abbiamo dimostrato che è possibile. E poi c’è anche un discorso del legame speciale che si crea tra il ragazzo e quella maglia. Se un giocatore cresce con un club, sarà portato a dare tutto per quei colori. E penso ci sia da combattere questa Nouvelle Vague della ricerca del giovane straniero. Io amo il calcio italiano e i talenti del nostro calcio”.