Mirko Gori a "Nostalgia 2014" : "Eravamo una squadra di uomini veri. Ci lega un qualcosa di incredibile"

L'intervista realizzata da Extra Tv, durante "Nostalgia 2014", a Mirko Gori: uno degli artefici della doppia promozione dalla Serie C alla A del Frosinone
18.10.2024 10:45 di  Francesco Cenci   vedi letture
Mirko Gori a "Nostalgia 2014" : "Eravamo una squadra di uomini veri. Ci lega un qualcosa di incredibile"
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Esattamente dieci anni dopo la trionfale stagione, chiusa con la vittoria del Frosinone allenato da Roberto Stellone contro il Lecce nella finalissima playoff del campionato di Serie C 2013/2014, i protagonisti giallazzurri di quell’impresa si sono  raccontati tra aneddoti, segreti, emozioni e curiosità in un film-documentario realizzato dalla redazione di Extra Tv, chiamato "Nostalgia 2014".Ieri sera è andato in onda il primo episodio, che ha visto come protagonisti Mirko Gori e Daniele Altobelli.

Così ha parlato Mirko Gori:

Mirko, sono passati dieci anni da quella stagione memorabile. Che ricordi hai di quell'anno? Che emozioni provi nel rivedere certe scene?

"Nel rivedere gli istanti finali della finale playoff contro il Lecce, in cui si notano le facce della gente ed i continui movimenti frenetici di quei momenti, provo ancora ansia. Sono stati attimi davvero belli. Io, ogni tanto riguardo sempre quelle immagini. E' stata un'emozione veramente incredibile perchè questo è stato davvero l'inizio di tutto".

Mirko, per te quella fu una stagione anche particolare perchè tu avevi già giocato un anno tra i "grandi", in quell'occasione però il livello già si era un pò alzato. Arrivarono giocatori importanti ed il Frosinone partì con ambizioni elevate in quel campionato e si puntò a vincere. Aumentò forse anche un pò la pressione per te all'inizio?

"In realtà no. Per me, Luca Paganini, Daniele Altobelli e tutti i ragazzi che quell'anno salirono dalla Berretti fu più un mettersi alla prova. La pressione esisteva, si, ma noi volevamo capire se veramente eravamo pronti per fare quel tipo di campionato. Un conto è giocare un campionato, sapendo che la squadra è composta da 10-12 giocatori provenienti dalla Berretti, ed un conto è farla con giocatori veri. Lì per noi fu un cercare di capire se eravamo veramente all'altezza di quei campionati e di quel livello. E devo dire che per tutti noi, chi per un motivo, chi per un altro, quella fu veramente una stagione memorabile per tutti".

Tu li hai citati: Luca Paganini, Daniele Altobelli (e non dimentichiamo Daniele Frabotta), quanto hanno dato i "ragazzini" a quel gruppo in quella stagione?

"Secondo me hanno dato tanto perchè chi per un modo e chi per un altro, all'interno del gruppo portava delle qualità diverse. Daniele Altobelli si distingueva per una qualità, Luca Paganini per un'altra, io magari per un'altra ancora. Per un gruppo avere dei giovani pronti e motivati, come lo eravamo noi, fa sempre la differenza".

Mirko, Roberto Stellone che allenatore è stato per te? Perchè Roberto Stellone ti prende nel 2012 e poi ti porta fino alla Serie A...

"Beh Stellone per me è stato importantissimo, una persona troppo importante per lo sviluppo della mia carriera. Prima di conoscere lui come allenatore, non avevo ancora riconosciuto io in me stesso alcune qualità che avevo e che lui, invece, mi ha saputo tirare fuori. Una volta che ti leghi ad una persona come Roberto Stellone, sai che lui non ti tradirà mai. La mia stima che c'è oggi nei suoi confronti, ma anche di Luca e Daniele è un qualcosa che va al di là del calcio. Io so che se lui un domani andasse ad allenare il Milan, probabilmente mi chiamerebbe perchè sa quello che sono pronto a fare per lui. Lui è un tipo di allenatore che riesce a darti quel qualcosa per cui tu per lui ti butteresti davvero dal decimo piano. Quindi o posso solo che ringraziarlo".

Ernesto Salvini era il Dg di quel Frosinone. Più che un Dg, per voi "piccoli" del gruppo era una sorta di zio acquisito, Mirko. Ci può stare come descrizione?

"Si. Diciamo che Salvini è stata la persona che ci ha insegnato a stare in questo mondo e ci ha fatto capire che cosa andava e non andava fatto ed i comportamenti da avere per restare a certi livelli. Lui per me è uno che può insegnare calcio a Coverciano. Con una Lavagna in mano, Salvini potrebbe insegnare calcio a chiunque. Purtroppo è una persona che non ama molto i riflettori. Io sono un pò come lui. In molti aspetti mi rivedo lui w forse molte cose me le ha trasmesse proprio lui, non lo so. Salvini non è una persona che ama stare al centro dell'attenzione e purtroppo nel calcio di oggi, dove tutti devono esibirsi e mettersi in mostra, questo aspetto probabilmente un pò lo paga. Però qui si ritorna sempre al discorso che è meglio essere e stare bene con se stessi, piuttosto che essere un'altra persona e magari lavorare in un giro ma perdere di credibilità".

Che rapporto hai avuto con il Presidente Maurizio Stirpe? Nella stagione 2013/14 ha avuto un occhio di riguardo per voi "piccoli ragazzini" del gruppo?

"No. Alla fine il Presidente è sempre una persona un pò distaccata, non ti dà mai la possibilità di avvicinarsi troppo a lui (che secondo me è una cosa giustissima). Per me il Presidente Stirpe è un vincente ed una persona di uno spessore altissimo. Di lui ricordo molto di più le parole che ci pronunciava dopo alcune sconfitte, dove qualsiasi altro Presidente avrebbe potuto insultare e buttare tutto in aria, piuttosto che quelle che diceva dopo le vittorie. Quindi posso soltanto che parlare bene di lui, perchè è una persona che ogni volta che parla ti lascia a bocca aperta".

Daniel Ciofani, Alessandro Frara, Massimo Zappino furono soltanto alcuni dei leader di quel Frosinone. Chi è che ti prese sotto braccio e ti aiutò maggiormente nell'entrare in quel gruppo e nei grandi del calcio?

"Beh, Daniel fu uno di questi. Diciamo che alla fine un pò tutti i calciatori di maggiore esperienza hanno facilitato il nostro inserimento. Erano tutti bravi ragazzi e gente da cui potevi soltanto imparare. Da calciatori quali erano Daniel Ciuofani, Alessandro Frara, poi ci stati in seguito Sanmarco, Biasi non impari dalle parole che dicono perchè in campo parlano poco, ma devi essere bravo nel cogliere i gesti, le cose che non dicono e gli sguardi. Noi forse abbiamo avuto l'intelligenza di cogliere tutte queste cose e rubare con gli occhi mille loro gesti. Per questo loro vanno solo che ringraziati, almeno da parte mia".

Sebbene quella sia stata una stagione leggendaria, storica ed indimenticabile, credo che non siano mancati anche i momenti complicati... Quanto è stato complicato il momento della sconfitta per 1-0 subita a Perugia? Ci sono stati altri istanti, oltre a questo, in cui magari avete detto stavolta non ce la facciamo?

"Beh, la sconfitta subita per 1-0 a Perugia è stato un momento molto difficile da assorbire. Però giocare lo 'spareggio' promozione lì, con uno stadio pieno e contro una squadra forte come loro, sapevamo che sarebbe stata una cosa difficile portare a casa il risultato. Allo stesso tempo però, non era neanche facile perdere una partita del genere e ricominciare poi ai playoff come se nulla fosse successo. Devo dire che però alla fine è andata bene".

Ad ogni protagonista di quella stagione si è associata una partita. Per te si è scelto Frosinone-Salernitana. Con quella partita iniziano i playoff e si riparte da zero. Il Frosinone arrivò secondo in classifica però contò poco, perchè si giocò una partita secca e c'era soltanto il vantaggio del fattore campo. Era una gara che il Frosinone doveva soltanto vincere. Per te quella fu una gara particolare, perchè eri fuori per infortunio da diversi mesi mesi. Quella sera però, giocasti quel match da titolare. Che ricordi hai e, soprattutto che cosa ti scattò in testa quando Stellone ti disse che avresti dovuto giocare in quella domenica?

"Venivo da una stagione particolare, perchè comunque in quell'anno iniziai ad avere dei problemi con la pubalgia dal mese di ottobre. Quelle poche partite che riuscivo a giocare le ho giocate con degli antidolorifici, a volte anche due o tre a partita. In particolare, ricordo una partita che giocammo a Grosseto, in cui presi addirittura tre Aulin per poter scendere in campo. Fu una roba folle! Arrivai a dicembre in cui disputammo una partita a L'Aquila, in cui il campo era ghiacciato. Entrai e capì che non potevo più tergiversare, perchè non dormivo più neanche la notte. Avrei preferito magari un infortunio alla caviglia, in cui si sanno i tempi esatti di recupero, piuttosto che il problema che ho avuto, dove non sapevamo mai quando uscirne fuori. Feci quest'operazione, che all'epoca non era una cosa che si vedeva molto. Mi fidai molto di alcune persone che la fecero, ma ai tempi non era una cosa che si sentiva molto l'operazione per pubalgia. Devo dire che quella fu l'operazione che forse mi ha cambiato la vita. Dopo quell'operazione io ho sentito una forza ed un passo diverso. Nella gara contro la Salernitana in particolare fu la mia prima partita che giocai dopo tanto e provai una serie di sensazioni veramente incredibili, anche perchè poi ero in scadenza di contratto".

Si può dire quindi dire che in un certo senso quella partita ti ha anche svoltato la carriera?

"Sicuramente sì, altrimenti avrei fatto certamente una carriera diversa e sarebbero cambiate un sacco di cose. Però mi sentivo veramente troppo forte in quella settimana. Comunque poi, in quella gara da dentro fuori con la Salernitana, andò bene... A quella gara sono legate veramente delle sensazioni bellissime".

Qui parte la cavalcata che portò poi il Frosinone alla promozione in Serie B. Nella gara di Lecce segni all'andata e poi ci fu quel Frosinone-Lecce nella finale di ritorno. Si dorme prima di una finale del genere?

"E' difficile. Ci sono state partite in cui la sera prima ho dormito di più ed altre in cui ho riposato veramente di meno, (io già dormo poco in generale, ride n.d.r.). Quella finale la disputammo comunque contro un avversario come il Lecce che comunque era chiamato a vincere il campionato, veniva da molti campionati di Serie A disputati, aveva molti giocatori forti in rosa, come Miccoli ad esempio, ed era molto più blasonato di noi. Giocare alla pari contro questo tipo di giocatori fu per noi un'iniezione di fiducia incredibile. Da lì capimmo che in casa, davanti alla nostra gente, potevamo veramente portare a casa la vittoria. Fu una partita tiratissima, ma alla fine fu veramente tutto molto bello".

La prima Serie A che cosa ha rappresentato per te e per tutti voi?

"E' difficile da spiegare questo. A volte non riuscivi neanche a capire quello che veramente si stava vivendo. Si era però creato un entusiasmo tale che si andava al campo con la consapevolezza che si poteva ottenere la vittoria contro chiunque. Arrivare e giocare una partita in Serie A credo sia il ogno di tutti. Ed io ho avuto la fortuna di giocare in A con il Frosinone, che era comunque la squadra che tifavo da sempre. Tutto questo fu realizzare un sogno incredibile. Certo, non siamo riusciti poi nell'ottenere la salvezza che secondo me non ottenemmo soltanto per episodi e per inesperienza della squadra. Però sarebbe stato veramente bello salvarsi in A col Frosinone... Giocare la massima serie con gran parte del gruppo col quale giocammo la Serie C credo che siano cose che si vedono poche volte nel mondo del calcio"

 Via Aldo Moro è la strada che ricorda un pò a tutti i tifosi del Frosinone il bus scoperto che passa per i festeggiamenti del Frosinone dopo la prima Serie A. Quello è stato il punto più alto della società..

"Si, decisamente. Non eravamo neanche pronti secondo me a tutto quello che poi accadde. Oggi forse per il Frosinone è diventata anche un pò la normalità giocare  a questi livelli. Anche per noi poi lò diventò giocare per vincere, ma all'inizio non lo era. Ad ogni inizio stagione il Frosinone veniva sempre dato come l'ultimo o penultimo classificato. Vedere quel giorno della prima promozione in A tutta quella gente lì, fu veramente un qualcosa di incredibile. Io ho sempre la foto salvata sul mio telefono di quegli attimi e di quel giorno. Ogni tanto vado lì e me la rivedo. Ho le immagini salvate della folla che si accalca al "Matusa" per festeggiare. Ho un bellissimo ricordo anche di quella vissuta allo "Stirpe", anche se per me il "Matusa" è stata tutt'altra musica. Forse perchè si trattò della prima promozione in A e forse perchè non eravamo tanto preparati, ma quella fu veramente una stagione in continuo crescendo. Nella seconda promozione invece ci fu anche un pò di sofferenza. Eravamo chiamati a vincere, nessuno ci chiedeva qualcosa di diverso e se non l'avessimo fatto, comunque avrebbe rappresentato una sorta di 'fallimento'. Nella prima, invece, eri consapevole del fatto che più si andava avanti e più aumentava in noi la consapevolezza che ce l'avremmo potuta fare... E Frosinone adesso, secondo me, è destinata a vivere soltanto momenti belli. Adesso la società ha trovato la strada giusta. E quando nel calcio c'è la programmazione, sei già a metà dell'opera..."

Per te ciociaro, essere giocatore del Frosinone com'è? Come la vivi la città?

"Vivendo io non a Frosinone, ma vicino per me era diverso. La gente mi conosceva sin da quando ero piccolo. Io questa cosa l'ho vissuta sempre un pò male. Io se la domenica perdevamo, il giorno dopo non uscivo per giorni. Mi vergognavo persino di andare al bar e andare a fare la spesa. Ad oggi, a qualche anno di distanza, dico che ho fatto veramente male a fare questo. Potevo godermi veramente tutto in maniera diversa, anche le vittorie stesse. Quando vincemmo, io già pensavo alla stagione successiva. Tante cose non me le sono godute veramente appieno, e ad oggi dico che ho sbagliato. Potevo vivere e sentire sensazioni diverse".

Mirko che emozioni ti suscita tornare oggi al "Matusa"?

"Ci sono tornato pochissime volte. Questa sarà forse la seconda o la terza volta che lo faccio. Ho proprio come mia prerogativa, quella di non tornare nei posti dove sono stato bene. Anche perchè quel pizzico di malinconia che sale, poi c'è sempre. Adesso il luogo lo vedo cambiato molto. Vederlo modificato in quel modo un pò mi fa strano., perchè l'eco dei ricordi importanti è una cosa che oggi non c'è più. Però alla fine credo che per noi ciociari, quello del Matusa sia un posto che avrà sempre un significato particolare. Tutti i miei ex compagni di quella squadra, quando parlano dello stadio "Matusa" alle altre persone, lo raccontano come un posto inespugnabile. Si vinceva perchè si doveva vincere. Questo lo racconto sempre anche io. Parlando poi anche con qualcuno che ha giocato in quello stadio come avversario, mi conferma questa cosa: quando entravi lì sapevi che probabilmente perdevi. Oggi il "Matusa" è diventato un Parco, tutto si è evoluto ed il Frosinone è cambiato. Questo mi fa piacere perchè forse senza i nostri risultati, saremmo rimasti indietro".

Quanto vi ha dato questo stadio nella stagione 2013/14?

"Il Matusa è stato decisivo, soprattutto alla fine della stagione. Ricordo che all'inizio di quella stagione non c'era tutto quell'entusiasmo. Avevamo fatto una squadra che puntava sì a vincere, ma non era così scontato. Eravamo la maggior parte dei ragazzini e mettemmo poi dentro qualche grande giocatore per la Serie C. Ma non era poi detto che avremmo vinto subito. Man mano invece, andando avanti la spinta dei nostri tifosi fu micidiale. Ricordo il boato di esultanza al gol di Paganini nella semifinale di ritorno col Pisa, fu un boato che difficilmente dimenticherò".

Tante partite disputate al "Matusa" per te. C'è una che vorresti rigiocare, oppure che magari vorresti anche cancellare tra i tuoi ricordi?

"Sicuramente rigiocherei quella semifinale di ritorno playoff contro il Carpi. Quella partita sembrò quasi uno scherzo del destino. Col senno del poi, dico che forse ci sentimmo troppo in controllo di quella partita. In realtà non avemmo mai la sensazione di poter subire un gol. Ma nel calcio purtroppo, possono succedere anche quelle cose: un tiro subito ti può cambiare una stagione ed i sacrifici fatti per un anno intero. Io sono sicuro che in quel 2016/17, se fossimo arrivati in finale, poi avremmo vinto sicuramente. In quell'anno poi, noi non arrivammo in Serie A per un gol di differenza con il Verona. Quell'anno gli avversari, ovunque andavamo a giocare ci temevano. Ero ed eravamo tutti convinti di essere una squadra forte".

Se al tifoso storico del Frosinone oggi si chiede quale squadra gli è rimasta nel cuore, tutti ti rispondono quella di Frosinone-Lecce. Se oggi si contesta qualcosa ad un attaccante, tutti pensano al fatto che, ad esempio, in quella determinata occasione Daniel Ciofani avrebbe fatto gol. Perchè secondo te quella squadra, che forse tecnicamente non era la più forte, è rimasta così nel cuore e nella testa della gente?

"Perchè era fatta veramente da uomini e da ragazzi che ci tenevano e mettevano tutto quello che avevano in corpo per la maglia del Frosinone. Quello che davo io era veramente dovuto al fatto che io sono di Frosinone e tifavo Frosinone, quindi per me quella squadra era tutto. Quello che però mettevo io era pari a quello che davano loro. E vedere qualcuno che difende un qualcosa che senti "tua" e lo fa nello stesso modo in cui lo fai te, è veramente un qualcosa di bello, In quella squadra si è creato veramente un legame molto importante. Eravamo un tutt'uno, come una famiglia. Il tifoso queste cose le capisce e se ne accorge. E poi secondo me quello fu l'inizio di tutto. Il Frosinone da lì è ripartito verso tutti gli anni che poi ha svolto. Ho visto gente trattare veramente il Frosinone come fosse una cosa loro. Ed ecco che poi i risultati in questo modo, non arrivano per caso".

Nelle varie squadre del Frosinone in cui hai giocato, dove collochi quella squadra?

"In quella squadra i valori tecnici non erano altissimi. Poi certo, si giocava in Serie C, un altro tipo di campionato e di atteggiamento da assumere in campo. Probabilmente a noi bastava quello per essere superiori agli altri. E' normale che poi salendo di categoria e inserendo in squadra gente tecnicamente più valida, il livello naturalmente è salito. In quella squadra hanno vinto e vincevano i valori umani. Molte volte la gente analizza il giocatore solo dal punto di vista tecnico, poi però entra in gioco anche la tecnica della volontà. Secondo me chi mette in campo prima l'anima che la tecnica, arriva sicuramente prima degli altri. La partita dura novanta minuti e posso assicurare che se giochi contro di me tutti e novanta i minuti, io cinque minuti non li lascio ai miei avversari per fare quello che vogliono in campo. A Frosinone c'è sempre stata gente che alla fine ha avuto l'atteggiamento giusto. Quando poi si trovano delle persone come noi, che abbiamo vinto per tanto tempo, devono esserci sempre e prima di tutto dei valori umani. Chi arrivava a giocare nella nostra squadra, doveva avere i  nostri stessi valori umani. E in quella squadra, chiunque è arrivato si è adattato al nostro spirito. E credo che si siano trovati tutti bene".

Sei andato via da Frosinone ed hai cambiato vita praticamente. Lasciare la città che ti ha cresciuto calcisticamente è stato traumatico oppure hai avuto la consapevolezza che il ciclo era finito ed era quindi giusto cambiare aria?

"Lasciare Frosinone non è stato un trauma, perchè comunque ho avuto dei mesi per capire cosa stesse succedendo. L'addio non è arrivato così all'improvviso, perchè sono una persona abbastanza intelligente per capire che qualcosa non andava più ed era cambiato. Nonostante questo, ho sempre fatto il mio, allenandomi bene e mettendomi sempre a disposizione con l'atteggiamento giusto. Poi però quando le persone non provano  nemmeno un pò a conoscerti e a capirti e partono con il pregiudizio che non vai bene per loro, si può fare poco... Ho vissuto quindi la situazione non dico bene, ma ero pronto  e non è stato un trauma".

Non hai quindi particolari rimpianti?

"No, non ho rimpianti. Io fino all'ultimo giorno che sono stato del Frosinone credo di essere stato un esempio. Questa è l'unica cosa che mi riconosco, al di là del campo e delle partite giocate. Uo sono stato un esempio. Se poi questo non basta, perchè si sceglie che le cose devono cambiare, è giusto che si cambi. Ci si stringe la mano ed ognuno prosegue per la sua strada. Certo, non nego che ad un certo punto ho pensato che potessi chiudere la carriera nel Frosinone. Quando poi ho capito che non sarebbe stato così, non mi sono di certo messo le mani nei capelli, chiedendomi poi che cosa accadeva. Ho compreso da lì che avrei dovuto ricominciare con degli stimoli diversi. Ho pensato che avrei dovuto fare delle cose difficili da realizzare. Sono stato ad Alessandria, nonostante avessi ricevuto anche delle altre possibilità. Ma lì c'era Longo che conoscevo bene ed una situazione particolare. Volevo salvarli e dare una mano ad una persona che comunque con me è sempre stata leale e che stimo molto tra l'altro. Per poco non ci è andata bene in quell'anno perchè le ultime partite veramente le buttammo via. Da lì ho pensato che mi sarebbe servita una sfida grande e volevo andare in un posto bello. Andai a Trieste, dove c'era una squadra con un blasone ed un progetto importante, con uno stadio che secondo me è il più bello d'Italia. Lì si realizzò veramente una cosa incredibile: le difficoltà che avrei voluto ci fossero per vincere, si trasformarono al contrario. Io avrei voluto vincere, ed invece poi per vari motivi ottenemmo una salvezza miracolosa. Oggi però purtroppo, i rapporti nel calcio contano più del campo, Io voglio essere la persona che sono realmente, senza poter diventare qualcun altro per piacere ai direttori ed agli allenatori. Chi negli anni mi ha apprezzato è perchè ha apprezzato veramente la persona che sono. Chi non lo ha fatto è perchè non gli sono piaciuto come sono, ma questo ci può stare. Non ho avuto mai l'assillo di piacere per forza a qualcuno. Però io voglio essere sempre me stesso. ed anche in quel caso, essendo stato me stesso, a Trieste mi misero fuori rosa".

Si ruppe quindi qualcosa con la Triestina, poi hai avuto una breve parentesi con il Monterosi in Serie C ed adesso nuova avventura per te con il Desenzano nel campionato di Serie D...

"Sì, una sfida difficile questa che però secondo me, il giorno che avrò realizzato l'obiettivo, dirò di aver fatto un'altra grande cosa. In pochi avrebbero accettato questa proposta, ma io voglio vivere questi miei ultimi tre, quattro cinque anni della carriera attraverso sfide difficili, che mi facciano capire anche chi sono".

Hai pensato a cosa farai dopo il calcio?

"Si. Ho fatto un corso da Direttore Sportivo, superato peraltro con ottimi votie con i complimenti da chi lo ha organizzato. Guardo tante partite e noto e studio un sacco di giocatori. Vorrei quindi fare il Direttore Sportivo. So che è comunque difficile inserirsi in un mondo così. Quando però c'è la passione qualcuno può riconoscerla e può dare una possibilità".

Hai nostalgia di quel 2014, dello stadio "Matusa" e di quel gruppo?

"Si, tanta. Si possono poi provare a rivere alcune di quelle sensazioni ed a rimettere insieme alcune emozioni anche con persone diverse, ma è difficile. Quello che si era creato tra di noi in quel gruppo era ed è una cosa inspiegabile e troppo bella. C'è nostalgia perchè quando poi non si possono rivivere quei momenti, c'è in me una nostalgia abbastanza grande. Però poi ci sono dei legami forti che si sono creati. Per far capire: se Soddimo mi chiamasse alle tre di notte non lo prenderei come un matto perchè per me è come un fratello. Se mi chiama Biasi, succederebbe la stessa cosa. Anche se sono persone con le quali non ti ci senti per un pò di tempo, non ci si rende conto perchè ci lega qualcosa di veramente grande che è difficile separarsi".

C'è un aneddoto di quella stagione che in dieci anni non hai mai raccontato a nessuno?

"Alcuni non li posso dire perchè altrimenti ci vorrebbero gli avvocati poi per chiudere il caso (ride,n.d.r.). Ricordo una cosa che ho raccontato poi in tutte le squadre in cui sono stato e tutti mi presero per matto. Stellone ci portava al cinema quando il campo del Casaleno era praticamente rovinato dalla pioggia. La prima volta che lo disse, pensavamo tutti che fosse uno scherzo. Ci pagò tutto lui e ogni volta ci fece scegliere il film da guardare. All'inizio guardavamo tutti lo stesso film. Poi, siccome questa cosa era diventata quasi un rito perchè alla fine vincevamo le partite, ci andavamo quasi ogni giovedì. Se oggi racconti questo ad ogni allenatore, ti prenderebbe per pazzo. Ed invece sono proprio queste le cose che fanno capire i legami che si creano. A noi non serviva neanche il campo, ma bastava stare insieme per essere più forti. E Stellone in questo aspetto è stato veramente bravo. Con un altro allenatore sarebbe stato tutto più difficile. Per questa ragione, secondo me il mister è stato veramente uno degli artefici di quella cavalcata"