Nostalgia 2014. Gucher: "Frosinone - Lecce? Ho ancora la pelle d'oca"
Noi stiamo raccontando l'annata 2013/2014 però tu a Frosinone sei arrivato molto prima, praticamente da 17enne. Ci racconti il primo impatto con il Frosinone? Perché quella è stata la prima volta che sei veramente uscito di casa.
"Si, diciamo è stato un trauma. Perché quando parti da così lontano e trovi un altro mondo che non ti aspetti, sia in negativo che in positivo, è un trauma. Negativo perché il primo impatto...però poi si trasforma in positivo per quello che ti da. Mi ricordo ancora arrivo lì, macchina piena di valigie, una valigia enorme, eravamo in due e appuntamento per le 4 noi alle 3 e mezza eravamo pronti e invece passano le 4, 4 e mezza sotto al sole, 40 grandi sotto la sede del Frosinone. Nono Capozzoli tra un pò arriva, erano le 5 e ancora non è arrivato. Poi ci hanno spiegato come funzionava e un mese dopo noi ai suoi appuntamenti arrivavamo mezz'ora dopo."
La difficoltà maggiore immagino con la lingua no?
"Lui Capozzoli era l'unico che parlava l'inglese e non riuscivi a rapportarti. All'inizio era impossibile perché non sapevamo una parola di italiano. Perché alla fine da noi l'inglese è d'obbligo e arrivati lì nessuno lo sapeva. Poi ci siamo messi a studiare e adesso, più di dieci anni dopo ti posso dire che riesco serenamente a fare un'intervista con te."
Senti Robert poi fai un paio di avventure un pò in patria, un pò a Genova con la primavera dove vinci anche lo scudetto, ma poi torni al Frosinone nel 2012 alla prima stagione con Roberto Stellone e poi 2013/2014, dove si può dire che anche essendo giovane eri un pò il veterano di quel gruppo?
Sì, e questo è perché sono rimasto anche dopo la prima stagione un pò deludente a livello di risultati, perché mi hanno fatto capire che puntavano su di me, come pilastro futuro e allora ho detto qua possiamo fare qualcosa di carino. E quando stavo rinnovando il contratto con il presidente Stirpe, il mio procuratore e mio padre erano lì a trattare e volevano anche mettere qualcosa in caso di Serie A. Il presidente si mise a ridere e disse come per dire metti quello che vuoi tanto non andremo mai. E invece 3 anni dopo quando l'ho incontrato gli ho ricordato questa cosa e lui mi ha abbracciato ancora più forte perché avevamo realizzato il sogno di suo padre. E quando scommetti su una cosa e in quell'anno ti senti piano piano un pilastro riesci a tirar fuori qualcosa di più."
Tu hai avuto sempre un bel rapporto con il presidente, eri un pò il suo figlioccio, perché lui ti ha visto crescere no?
"Sì, nessuno penso prende un austriaco da così lontano e lo coccola come faceva lui con me. Poi dopo sono successe delle cose quando dovevo andare via, ma sono dinamiche di mercato di calcio, che non c'entrano con il resto. Infatti, quando ultimamente c'era da sentire il presidente cosa ne pensava del Pordenone e mi ha consigliato di andarci. Ma c'è un rapporto che quando ho bisogno di qualcosa so che lui ci sarà sempre."
Senti invece l'impatto con Roberto Stellone, lui aveva smesso da poco, aveva vinto il campionato beretti, si ritrova ad allenare i grandi e poi nel 2013/2014 inizia poi la stagione della cavalcata?
"Io lo vedevo sempre come compagno di squadra. Era l'ultimo anno suo e poi andava ad allenare la primavera ma lì già si vedeva che era un allenatore anche in campo, però con il suo modo di fare ci ha aiutato tanto. Abbiamo vinto anche grazie a lui. E' stato intelligente a mettere le persone giuste accanto, quando tu smetti e hai ancora compagni di squadra, questi devono capire che adesso lui è l'allenatore e non gli puoi più dire delle cose come facevi prima. A livello di gestione per lui è stato molto più facile perché aveva gente esperta che gestivano lo spogliatoio ma sapevano anche come far arrivare le cose al mister, non come compagni ma come mister. Questo mix poi con il suo modo di fare, con le battute e la simpatia, lui era molto leggero anche se poi in campo dovevi pedalare, era molto preciso. Questo ti dava grande serenità per affrontare un campionato difficile come la Serie C."
Quindi la Serie C era complicata Robert?
Sì, veramente era una categoria forte. Prima c'era una C forte forte forte. Non come adesso Picci. Ma non perché ci ho giocato io, ma perché lo noti nei giocatori che c'erano come Miccoli. Adesso trovi tanti giovani, che possono essere dei fenomeni, ma per ora sono ragazzini. Invece prima tutti giocatori che avevano giocato.
Che gruppo era Robert? Perché questa è la squadra che fa la scalata C, B, A. C'era un segreto che vi univa?
"Sì, da fuori può sembrare anche se da dentro il gruppo bello, però tanti individui diversi. Però si è creato quel mix perché il presidente era uno che dava serenità e faceva lavorare, il direttore era d'accordo con l'allenatore, l'allenatore ti dava il giusto mood. La squadra aveva il giusto mix tra cazzari e 4/5 intelligenti a livello di pensare all'altro, hanno gestitto questo gruppo con il semplice dare l'esempio. Questo è quello che ha fatto tirar fuori qualcosa in più ai giovani, se un veterano andava dritto il giovane lo seguiva, sono tutte queste cose che tirano fuori qualcosa in più che aiutati dai risultati, dalla piazza, dai tifosi ecco che...si crea questa cosa qua. In C è stato molto più emozionante vincere le partite. In Serie B è stato diciamo un continuo. Vincevi, vincevi vincevi ed era finito il campionato. Invece in C uscire da lì con delle emozioni da Perugia dove potevi salire diretto e perdi, a dover giocare contro la Salernitana che era arrivata 20 punti indietro, poi la semifinale con il Pisa andata e ritorno, poi Lecce supplementari. Te la sei andata a prendere perché la volevi proprio. Invece in B ricreando quel mix giusto, con l'entusiasmo e la gente che ti andava dietro primo anno contro squadra forti, hai tirato dritto fino a San Siro e l'Olimpico, con il presidente seduto là che non ci credeva nemmeno lui."
Tu parti ed eri un titolare fisso di quel Frosinone. Poi a Perugia becchi il rosso un pò dubbio per un'entrata a centrocampo. Finisce 1-1 Frosinone in 10 e sei costretto a saltare un paio di partite. Ma poi un paio resti anche fuori per scelta. Arriviamo ai primi di Febbraio, si gioca Paganese - Frosinone, dopo il lutto tremendo che ha colpito Alessandro Frara, tu non giochi dall'inizio, entri nel secondo tempo in un campo rovinoso, e al primo pallone che tocchi fai gol. Che ricordi hai? Ti sei sentito anche a livello di carisma di dare qualcosa in più?
"Lì è stato un momento molto particolare perché col fatto che tra il funerale... il non giocare andava in secondo piano. Dopo un lutto del genere uno trova il modo di star vicino a un compagno. Già i giorni prima però sapevo che potevo tirare qualcosa di diverso. Infatti, è stata proprio la partenza, da lì vedi un campo impraticabile, è un mix di emozioni e dici menomale che sono in panchina che con un campo così fai solo figure di merda ma in quella situazione per Ale, sapevo che se il mister mi metteva dentro potevo dare qualcosa di più, per Ale. E poi quando mi ha fatto entrare e ho dato qualcosa ad Ale e alla squadra. Ma ero sempre sereno perché sapevo che anche fisicamente ci sono dei momenti no e che sarei tornato ai miei livelli e è successo proprio in quel modo lì"
Invece dopo Perugia che succede? Perché lì il Frosinone perde e crollano le ambizioni di una stagione. Com'è l'ambiente dopo una sconfitta del genere perché si rischia di azzerare tutto.
"Sì, il rischio era grosso e secondo me dopo la partita l'80% non ci credeva più perché dopo una botta del genere. Perché tu prepari quella finale tutta la settimana ma perdendo quella finale lì, in quel modo, perché non è che ti hanno ammazzato. Lì esce la forza di quei ragazzi lì che avevano quella positività dentro. Che anche in quei momenti lì ti danno una pacca sulla spalla e ti dicono dai ci mancano 5 partite possiamo arrivare lo stesso, Che in quei momenti lì magari uno ti dice ma vaffanculo. Però eravamo 6/7 positivi Frara,Ciofani, io, Soddimo, la spensieratezza che ti trascinava. In più nelle partite dopo dovevi sperare che la piazza ti stava dietro comunque. E lì con la Salernitana non c'era partita, e abbiamo capito che potevamo passare il turno e arrivare. Perché già dopo l'altra sfida, andata e ritorno subentrava un pò di tatticismo. Anche perché questi arrivavano 20 punti dietro e speravano di arrivare alla doppia sfida.
Poi Pisa, e Lecce prima lì e poi al Matusa. Per tutti i tifosi Frosinone Lecce è la partita. Com'è stata? Come si prepara?
"L'attesa è come quella col Perugia e da giocatore non vedi l'ora che arrivi quella partita e tutto ti carica. E' una pressione positiva. Poi quando arrivi allo stadio ti sale l'adrenalina perché vedi già tutti allo stadio quando arrivi. E' stata una cosa che mi vengono ancora i brividi ora, quando giochi a calcio così, vivi per questo. E la mia cosa che mi ricordo ancora di più è quando ai supplementari i tifosi volevano scavalcare, volevano entrare e io e altri ci arrampicavamo noi per dire per favore per favore se ci tolgono sta partita. Manca mezz'ora poi possiamo festeggiare. Lo speaker non lo cagava nessuno e questo mi ricorda proprio impresso. E gli ultimi momenti, penso di non aver nemmeno sentito il fischio finale, mani al cielo e.. anche l'arbitro penso sia l'unica partita che non abbia fischiato la fine."
Poi Robert segna Frara e c'è una foto iconica dove lui esulta e tu lo indichi.
"Non è il fatto che ha fatto gol lui. Però capitano, in lutto, essere pronto così per la passione. Perché lui ha perso tanti chili e lì ti entrano altre dinamiche che anche se vuoi dare il 100% non riesci. Però questa energia, questa passione, questa voglia di andare lì e giocarla fino all'ultimo per la squadra, per i compagni, per la piazza, cioè avere anche lui lì così vuol dire che sei una persona che ci tiene, che ha il cuore grande. E che ti capita la palla lì sarà stato un aiuto da sopra sarà stato un aiuto dall'alto. E è stato un aiuto da sopra, i tifosi, tutti speravamo che chiudesse lui quel capitolo. E è stato come per dire guardate qua questo cuore qui è enorme perché lì ci vuole forza."
Robert, il Matusa, che oggi non esiste più, ci sei tornato? Hai visto che c'è? Che effetto ti ha fatto?
"Certo. Brutto, sinceramente il Matusa, non lo so. Io vedo che la piazza lì ha bisogno, cioè è tutto bellissimo, lo stadio, ecc ma lì era una cosa, anche gli ex compagni mi parlavano sempre del Matusa, era difficile proprio giocarci. Adesso è più da fighettine, da Serie A. E' che lì secondo me la gente ha bisogno di altro, non vuole questo. Cioè proprio tutto l'ambiente lo senti, quando ti avvicini al parco lo senti, lo percepisci."
Cosa ti ha dato quello stadio lì, la curva, il Matusa?
"Penso la Serie A. Non credo che in un'altra piazza, diversamente a che punto saremmo arrivati. Con quella spinta lì potevi fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato."
La Serie B me l'hai descritta come una passeggiata di salute. Dall'esterno è sembrata quasi semplice.
"Alla fine abbiamo fatto tutto il percorso con entusiasmo. Non sono mai arrivate 3/4 sconfitte di fila che dici vai in difficoltà. Ti trovavi sempre tra le 5/6 squadre di testa. Alla fine vedevi il calendario e dicevi se qua riusciamo a far qualche punto e facevi sempre punti e alla fine non c'erano più partite e la gente ti aspettava fuori. Ovviamente da dentro dovevi avere la mentalità giusta per affrontare le partite. Se facessi il paragone tra la B e la C ti direi che la B era molto molto più semplice proprio per questo entusiasmo che ti dicevo."
Poi quell'anno hai giocato sempre a centrocampo con Gori, hai fatto anche diversi gol belli e importanti, fai gol alla Pro Vercelli, Pescara, Trapani, ma soprattutto sei il capitano del Frosinone in due partite che da queste parti contano molto. Contro il Latina, che il Frosinone vince entrambe 4-1 lì, 1-0 in casa. In quelle partite hai avvertito un pizzico di tensione in più tu che eri uno di casa?
"Sì, ora si può dire, quando sei tutti quegli anni lì e ti senti uno di loro, uno della città, vai in campo da tifoso perché conosci tutta la gente fuori, entri diversamente soprattutto in quelle partite lì. Non è come una partita normale dove tu sei un professionista e ci tieni per i tifosi e le persone che conosci fuori. Però il derby è qualcosa di diverso, dopo la vittoria là dopo che col pullman torni c'è una sfilata che va da Latina fino a casa è stato veramente una gioia enorme per noi ma soprattutto per la gente a cui abbiamo regalato tanta gioia."
Eri diventato il capitano intanto in quella stagione, com'è diventare capitano, che significa?
"Quando tu sei uno collegato, sei uno della città, sei tu a portare la tifoseria in campo, oppure la storia in campo, lo porti con onore cerchi di dare l'esempio, ero giovane per quell'età lì, siccome Frara giocava un pò meno, ho avuto l'onore di portare quella fascia che per me conta veramente tanto e penso di aver ripagato non a livello di prestazioni ma a livello umano per quello che ho lasciato alla città e quello che mi hanno ridato, penso e sono contento di aver onorato quella fascia."
Ti sei chiesto perché sei entrato così nel cuore della gente? Ti sei chiesto perché un austriaco abbia conquistato la Ciociaria? Che cosa hai fatto di speciale?
"Essere me stesso, vale più di tutto. Io con la gente andavo al bar, andavo in giro, ma non per far vedere, ma perché sono io che vengo dalla campagna, ringrazio i miei per avermi cresciuto così. Potevo fare come tanti stranieri che vengono, non me ne frega niente della lingua, non me ne frega niente, me ne vado. Ma devo essere apprezzato umanamente non come calciatore. Se uno ha un'opinione su di me a livello umano ci dev'essere solo questa. A livello di calciatore ci può essere qualunque giudizio, forte o scarso. Ma a livello umano dove sono andato ho lasciato qualcosa e questo per me è la soddisfazione più grande di tutta la mia carriera."
Come nasce il nomignolo austrociaciaro?
E' venuto così in Ciociaria, quando ti adottano, hanno detto questo parla più il ciociaro che altro e allora è uscito il mix austrociociaro.A Pisa poi hanno provato a portarlo sul'austrociociaro. Però per me è un orgoglio perché vuol dire che la gente ha qualcosa in comune con te e ti vuole avere lì con sé che sei uno di loro.
Poi la Serie A, c'è un pizzico di rimpianto? Perché sembrava qualcosa di fattibile la salvezza, soprattutto quell'anno.
"E' proprio questo che abbiamo pagato secondo me. Perché ogni minimo errore in Serie A viene pagato. C'abbiamo provato, la società ha confermato quasi tutti quelli che hanno portato a quel sogno lì e noi ce l'abbiamo messa tutta, per poco purtroppo non ci siamo riusciti perché questo sarebbe stata la ciliegina. Quella storica doppia promozione quella però non ce la toglie più nessuno."
Poi con la retrocessione c'è l'addio di Stellone, salutano tanti pezzi pregiati, c'è la fine di un ciclo. Tu però all'inizio decidi di restare, c'è l'arrivo di Pasquale Marino, giochi anche bene le prime partite ma poi qualcosa si rompe. Che è successo?
"Eh dinamiche del calcio, alle volte il direttore, e i dirigenti, allenatori hanno idee diverse, progetti diversi. Dicono questo sta qua da anni, è buono con la gente, con i giornalisti, entrano mille cose che uno pensa che vuole ricominciare da un'altra parte. Fa parte del mondo del calcio, fa più male quando tocca a te però è una cosa che da giocatore devi capire e devi andare avanti."
Ti ha fatto male lasciare?
"Indubbiamente, hai nostalgia, soprattutto ricordando queste cose qui, ma poi ti torna il sorriso, il calcio è fatto per questo, la carriera va avanti."
Poi vai a Vicenza, torni al Matusa da avversario con tutto il pubblico che è in piedi ad applaudirti poco prima che inizi la partita con l'arbitro che aveva quasi paura di fischiare per godersi il momento. Che pomeriggio è stato? Credo che quello ti ripaghi di tutto?
"Quello che lasci se ti torna qualcosina sono l'uomo più felice del mondo. Quello che è stato quel giorno lì, non l'avrei nemmeno sognato. Anche se avessi immaginato di tornare, magari ricevere qualcosa, non sarebbe mai stato così. Era inimmaginabile. Anche i video che ho a casa ogni tanto me li guardo e vuol dire che qualcosa di buono ho lasciato."
Poi fai una bella parentesi a Pisa. 5 stagioni. Vinci un altro campionato con tanto di gol nella finale dei PlayOff, affronti il Frosinone allo Stirpe. Sensazioni di ritrovarsi il Frosinone in uno stadio diverso, in un contesto diverso anche con una squadra completamente diversa?
"Ero curioso, perché non avevo mai visto lo stadio, porte chiuse, Covid, poi avevo altri pensieri per la testa perché la squadra era molto cambiata e volevamo andare ai playoff con la mia squadra. Avevo il piacere di ricontrare gente fuori dal campo, magazzinieri, gente che lavora lì. Ma al Matusa sarebbe stato diverso."
Si può dire che il Frosinone sia un pò la tua seconda patria?
"Sì, perché a prescindere otto anni non si cancellano, otto anni di carriera perché un giocatore non ha tanti anni e se quasi la metà l'ho fatta lì, che mi hanno preso da ragazzino e mi hanno fatto andar via da uomo, questa società, la ciociaria, questa piazza, questa gente mi sarà sempre nel cuore."
Ultima stagione alla Lucchese e adesso che farai da grande Robert?
"Ho ho 33 anni fammi camminare ancora un pò, Poi ci penserò, sicuramente non il tuo mestiere."
Nostalgia di quegli anni? Nostalgia del 2014?
"Andiamo nel dettaglio. E' ovvio, c'è una bellissima parte della vita, della carriera, belli e brutti, su cui si deve lavorare, assorbire, ma non solo il calciatore, ognuno ha bisogno di questi ricordi per andare avanti nella vita. Penso e spero di aver regalato qualcosa alla gente nei momenti belli anche nella vita. Ma se ancora oggi riusciamo a regalare emozioni alla gente, soprattutto oggi dove tutti sono un pò più in difficoltà, dove è cambiato un pò tutto per tutti, siamo noi che facciamo uno sport che possiamo regalare qualcosa, una emozione, facendo poco e ovviamente quello che facciamo rimane lì impresso e non si cancella più. Questo secondo me è la storia, racconteranno ai figli, ma spero e auguro alla piazza di fare altri passi avanti. Perché mi ricordo dove era quando sono arrivato e dove è oggi e penso che il Frosinone sia conosciuto in tutto il mondo quindi la gente può essere orgogliosa. "