Ex Frosinone, Boloca si racconta: "Daniel, stai tranquillo. Ovunque andrai, ti vorrò con me"
Mi chiamo Daniel Boloca e tre anni fa giocavo in Serie D. Oggi sono in Serie A e ho appena segnato il mio primo gol.
FROSINONE - Il direttore Angelozzi, che mi aveva voluto a Spezia, mi chiamò: «Daniel, stai tranquillo. Ovunque andrai, ti vorrò con me». Pochi mesi più tardi ha firmato con il Frosinone: la sua prima mossa? Prendermi. Non smetterò mai di ringraziarlo. Anche perché dopo aver festeggiato la promozione, mi ero detto: «Questa sensazione la voglio riprovare». È arrivato. Fabio Grosso è l’allenatore che ci ha trascinati in A. Ci parlava prima di ogni allenamento. Un giorno ci riunì in cerchio: «Vedete, se prendete un bastoncino e provate a piegarlo, questo si spezza. Ma se prendete tanti bastoncini, e li mettete uno accanto all’altro, e provate a spezzarli, non succede. Si piegano, ma non si spezzano. Se saremo sempre insieme, ce la faremo». Così è stato.
NAZIONALE - La mia prima chiamata in Nazionale è stata dellla Romania: i miei genitori sono nati lì e sono arrivati in Italia da extracomunitari. Non avrei mai pensato che una Nazionale potesse convocarmi. È stata una sensazione bellissima per i miei. Io non ero sicurissimo, avevo dei dubbi. Mi ero confrontato con loro: «Non parlo la lingua, in casa utilizziamo sempre l’italiano e al massimo voi mettete qualche parola in rumeno, capisco quando parlate ma… boh… sono nato qui…». Era un’occasione unica e loro erano troppo contenti. Così ho accettato.
Quando sono arrivato in Romania, mi sono reso conto dell’errore. Non capivo niente! Parlavano velocissimo, mi ritrovavo a pranzo o a cena con i giocatori che provavano a integrarmi, e io che sorridevo e annuivo come uno stupido. Ero davvero in difficoltà.
Un mese dopo, ci fu la chiamata dell’Italia per uno stage in cui il ct Roberto Mancini voleva valutare alcuni giovani e calciatori di Serie B. Ero al settimo cielo, accettai e capii quale sarebbe stato il mio destino. Quando la convocazione venne notificata, mi chiamò la Romania per sapere quali fossero le mie intenzioni: «Sarò onesto con voi. Vi ringrazio, perché mi avete trattato in modo squisito, ma mi sento italiano. Mi avete dato tanto, senza farmi mancare niente. Ma non me la sento. È stato un gran momento di famiglia, ma per rispetto vostro devo dirvi che non è ciò che voglio».
SASSUOLO - Avevo un sogno: giocare a San Siro contro l’Inter. L’ho realizzato. Dopo la partita, in cui avevo giocato bene, mister Dionisi è venuto da me: «Noi veniamo dal basso e non possiamo permetterci di mollare». Chi altro avrei potuto abbracciare, pochi giorni dopo, se non lui, quando ho segnato il mio primo gol in Serie A.