frosinone

, il Presidente Stirpe al Corriere dello Sport: "Dobbiamo puntare a mantenere la categoria"

Le parole a 360 gradi del presidente giallazzurro Maurizio Stirpe, intervistato tra le colonne del quotidiano romano Il Corriere dello Sport
21.12.2023 11:30 di  Francesco Cenci   vedi letture
Frosinone, il Presidente Stirpe al Corriere dello Sport: "Dobbiamo puntare a mantenere la categoria"
TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Grande festa nella notte tra martedi e mercoledi a Frosinone dopo la storica qualificazione ai quarti di finale di Coppa Italia ai danni dei campioni d'Italia del Napoli. La squadra di Di Francesco di ritorno dal capoluogo campano è stata accolta allo stadio "Stirpe" da centinaia di tifosi che hanno sfidato il freddo pungente. Cori, applausi, fumogeni e fuochi d'artificio per celebrare gli "eroi" del Maradona (così sono stati ribattezzati i giocatori ciociari). Una volta scesi dal pullman Barrenechea e soci sono stati sommersi dagli abbracci. Poi autografi e selfie per immortalare un momento storico. Mai il Frosinone ha raggiunto i quarti di Coppa Italia dove il 9 gennaio sfiderà la vincente di Juventus-Salernitana. "È stata un'impresa frutto del lavoro e dello spirito di sacrificio dei ragazzi", ha ribadito il tecnico Di Francesco tra i più acclamati dai tifosi.

Una gioia ed una soddisfazione che neanche il Presidente del sodalizio giallazzurro Maurizio Stirpe intervistato tra le colonne del quotidiano romano Il Corriere dello Sport, riesce a nascondere.

Tanti i temi trattati dal numero 1 del club di Viale Olimpia, a cominciare dai buoni rapporti tra le due società Frosinone e Juventus, passando per l'impresa storica compiuta al "Maradona"

Certo, la notte di martedì come si può scordare. Nel tempio di Diego. Che emozione è stata presidente Stirpe? 

«Già, nel tempio di Diego. Non andavo da tanto a Napoli, ricordavo il vecchio San Paolo e lo stadio che ho visto mi sembra stato ripensato con una progettualità efficace. Molto migliorato. Devo dire la verità? Io sto ancora qui a chiedermi cosa sia successo veramente. Quasi non ci credessi ancora. Una serata importante per tanti motivi. Abbiamo fatto uno step il cui segnale può essere uno soltanto: la strada intrapresa è giusta. Occhio però, siamo solo all’inizio di un percorso e dobbiamo avere la consapevolezza che sarà sempre più duro. Noi dobbiamo puntare a mantenere la categoria e stiamo solo al primo pezzo di strada». 

De Laurentiis lo ha visto? 

«Abbiamo fatto insieme il viaggio in treno da Roma. Ci eravamo ripromessi di vederci. Alla fine non ci siamo riusciti». 

Quando la scorsa estate Grosso andò via e Angelozzi le parlò di Di Francesco era l’unico nome? O pensando a un possibile diniego avevate un’alternativa? 

«Guido è venuto da me con un nome solo. Gli ho detto che avrei voluto conoscerlo e abbiamo cenato assieme. Il nostro direttore lo raccontò proprio al suo giornale: Eusebio si alzò un attimo e io gli dissi “concordo, per me il nostro allenatore è lui”. Poi ho letto bene quell’intervista del Corriere dello Sport al nostro direttore, lui ha detto anche che l’accordo con il tecnico lo aveva già fatto. E se è così meglio ancora, significa che avevamo la stessa idea da subito». 

Angelozzi e il Frosinone si sono incontrati con vent’anni di ritardo. E lo stesso Angelozzi dice anche che lei è un presidente che lascia fare: ma che se non concorda lo dice chiaro con la telefonata quotidiana di mezzanotte e dintorni. 

«Guido doveva essere il mio direttore vent’anni fa, quando iniziai. Ma lavorava con Gaucci che all’ultimo gli chiese di andare a Catania, la sua città. Non potevo competere, ma gli dissi solo che avrebbe dovuto convincere Enrico Graziani a venire a Frosinone: e lo fece. Tante telefonate e scambi di idee in questi vent’anni, poi la chance di lavorare insieme. I miei collaboratori hanno tutti piena autonomia e io credo che la responsabilizzazione sia un metodo per avere risultati. Poi è chiaro che io chiedo e, se qualcosa non mi torna, intervengo: perché sono tifoso, appassionato, perché dedico tempo ed energia al club, che è la mia vita quotidiana. Mi piace sia così. Il nostro successo è frutto di un lavoro di squadra che inizia da tutto il nostro staff dirigenziale e la sua competenza organizzativa, e arriva a quello tecnico, fino ai giocatori». 

Scommesse, intuizioni: da Gatti a Boloca, Gelli, Oyono, un mercato delle idee che si sposa bene con la sua idea sostenibile di gestione del club. Questa è la dote di Angelozzi? 

«Noi abbiamo un unico percorso ed è quello contenuto nella sua domanda. Pensare di competere con i mezzi economici non avrebbe senso. Guido Angelozzi è bravissimo. E aggiungo che se abbiamo avuto l’ok di grandi club come Juventus, Bayern e Real Madrid a valorizzare i loro giovani è perché siamo credibili. E più da noi i ragazzi crescono, più questa credibilità aumenterà: una grande risorsa in chiave futura». 

Con la Juventus, che arriva al Benito Stirpe, ha sempre avuto contiguità per ragioni imprenditoriali, ma forse non è mai stato così vicino al livello di collaborazione calcistica. Avete preso tre ragazzotti mica male.. . 

«Kaio Jorge, Barrenechea e Soulé, verissimo. Un merito che ascrivo ancora al direttore: la credibilità sua è diventata la nostra e, ripeto, può essere soltanto un valore aggiunto». 

E sta arrivando il quarto, l’olandere Huijsen, rinforzo classe 2005 per la difesa? 

(Stirpe sorride dal cellulare) «Cosa è un tranello? Angelozzi conferma e smentisce, sa lui chi prendere e come e dove intervenire». 

 A parte Huijsen (in arrivo). Soulé è una sorta di Dybala bambino? 

«Non fatemi fare paragoni, non è nemmeno il mio ruolo. Soulé è potenzialmente un grandissimo calciatore e deve mantenere umiltà e piedi per terra per decollare. Ha mezzi enormi per arrivare al top». 

Ma possiamo tranquillizzare i tifosi del Frosinone? L’argentino resta fino a giugno? 

«Possiamo dire ai tifosi del Frosinone che con la Juventus abbiano fatto un accordo con un progetto di valorizzazione che per noi, e so anche per loro, si conclude a giugno. Io non ho segnali diversi, non registro orientamenti nuovi rispetto all’argomento. Devo dirvi che poi nel calcio non si sa mai? Posso dirlo per convenzione, perché magari poi chissà... Ma ribadisco che noi abbiamo condiviso un piano e non ci sono state dette cose diverse». 

E per i rapporti stabiliti, con un altro giocatore in arrivo, fosse cambiato il clima lo avreste saputo. Intende questo? 

«Già, ma è altra materia di competenza del direttore». 

Cosa le piace di Di Francesco? 

«L’entusiasmo, il coraggio di voler sempre provare a giocare, la concretezza: la nostra salvezza in campo può passare solo per lui. La squadra è un tavolo con tre gambe: giocatori di media esperienza per la categoria, giocatori patrimonializzati e di proprietà del club e giovani in prestito dalle big. L’insieme sta dando i risultati anche sorprendenti, che dovremo confermare». 

Il Frosinone diverte anche lei? 

«Da tifoso soffro, ma mi diverte tanto». 

Se deve pensare ad un modello per il Frosinone che sta nascendo, dice Sassuolo o Empoli? 

«Dico Empoli. Anzi, dico intanto proviamo a fare l’Empoli perché ancora non ci siamo riusciti. Il Sassuolo è altra cosa, ha alle spalle un colosso mondiale. Se riuscissimo a calcare la strada del club toscano sarebbe un trionfo. Ma prima salvarsi». 

Quest’anno è scoccato il ventesimo anno di presidenza. Ma il calcio italiano è quello delle famiglie - penso alla sua, a Corsi, ai Pozzo, fino a Lotito e De Laurentiis - o quello dei fondi e delle proprietà straniere? 

«Poche famiglie resistono e fino a che sapremo mantenere il passo resteremo, per poi farci da parte. In Italia il modello si sta evolvendo rapidamente nella direzione dei fondi e delle proprietà estere. Gli investitori finanziari colgono il valore abbordabile del prodotto e lo innestano dentro un percorso di potenzialità commerciali inespresse: quindi investimento, valorizzazione e cessione. Le proprietà estere sono sensibili anche all’aspetto della visibilità. Le famiglie italiane tengono botta. Ancora...». 

Con i Friedkin ha rapporto? 

«Direttamente con loro no, non ho avuto occasione. Con l’amministratore delegato, Lina Souloukou, sì: scambi di idee in Lega». 

Da tifoso Mourinho lo terrebbe? 

«Quella del tifoso è una passione privata. Sono un presidente. Pensi se potrei mai mettermi dentro una scelta strategica che compete ad un’altra proprietà». 

Abbiamo cominciato dal Maradona. Ma l’ultima pietra del Benito Stirpe, che effetto le ha fatto tra l’orgoglio dell’imprenditore e quello di figlio che rende la memoria del papà senza tempo? 

«Ha prevalso soprattutto la consapevolezza di avere fatto qualcosa che papà avrebbe accolto con grande orgoglio. Se vent’anni fa sono tornato a legare il nome della nostra famiglia al club lo devo alla sua spinta. Quando con mio zio erano al vertice del Frosinone, io ero un piccolo tifoso». 

Ma lei ha anche sempre detto di non poter e voler restare tanto a lungo al timone: è ancora così? 

«Ne faccio un discorso di oculatezza manageriale. E ai cambi al timone bisogna sempre pensare quando le cose vanno bene. Non sto dicendo che siamo arrivati al momento, ma che io lavoro perché il Frosinone sia senza tempo, indipendentemente da me. Ecco perché la salvezza diventa cruciale. Perché ci stabilizzerebbe». 

«Un bambino che tifa Frosinone mi emoziona: e ne vedo sempre di più»: lo ha detto lei...

«E lo so bene. Vi sembra poco? Sta succedendo con frequenza continua, è la nostra vittoria».